La Storia

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Il borgo di Piale, che dominando lo Stretto di Messina, si sviluppa adagiato su due costoni dell’attuale Torrente Campanella, in Comune di Villa San Giovanni, ha storia importante ma non molto antica.

L’origine del suo toponimo, che deriva dal greco επι αλι (epì alì) “sul mare”, è sicuramente risalente al tempo in cui la lingua greca, per la plurisecolare dominazione di Bisanzio sulle terre del Bruzio inferiore, ancora si parlava sulle coste di quest’angolo di Calabria (l’Arcidiocesi di Reggio Calabria abolì completamente il rito greco “solo” nel 1628). Questa versione della storia etimologica del nome Piale, sembra la più plausibile per la presenza, nel territorio circostante, di altri toponimi che fanno riferimento alla declinazione del termine greco αλς (als) “mare”: Musalà, Rosalì ed il dirimpettaio Alì sull’altra sponda dello Stretto. Singolare e fin ora ancora non indagato, ma quantomeno degno di essere segnalato, il toponimo che appare inciso sul cartiglio del fregio della Fontana Vecchia del Borgo risalente al 1741: vi si legge “Fontana del Pedale …”. Su questo preciso riferimento epigrafico, qualche autore, come Mons. Nostro, ha provato ad individuare l’origine del toponimo anche nella probabile presenza di un grosso albero che nei secoli passati forse indicava il luogo nella vulgata comune. Non si spiega come mai sulla mappa manoscritta dal Can. Morisani nel 1760 e custodita presso l’Archivio Arcivescovile di Reggio Calabria l’attuale Torrente Campanella è indicato come “Vallone del Piale” e l’abitato presente su entrambe le sue sponde è segnato come “Piale”. E’ possibile che un toponimo scompaia in appena diciannove anni? E’ probabile piuttosto che accanto alla denominazione ufficiale ne vivesse un’altra più popolare ed altrettanto usata, tant’è che dalla metà del XVIII sec. in avanti non si riscontra altro toponimo se non l’attuale.

L’abitato probabilmente sorse tra la fine del XVI e l’inizio del XVII sec., dopo che, a seguito della battaglia di Lepanto (7 Ottobre 1571) sulle coste dell’Italia meridionale si allentò il flagello delle scorrerie turchesche, consentendo un progressivo ritorno verso il mare delle popolazioni che a partire dall’alto medioevo si erano stanziate nell’interno. Questo processo fu probabilmente agevolato dalla presenza, in prossimità del borgo, della Torre del Piraino o del Pezzolo, che, costruita intorno al 1559 a difesa della costa, sorgeva dove oggi vi sono le aree di servizio autostradali, come si può evincere dalla raffigurazione del Dunouy “Veduta del Campo di Piale” del 1810, nel quale la costruzione appare sul limitare del pianoro, e come ricordava il Nostro, nel 1923, per testimonianza diretta “…sorgeva sotto la spianata dell’attuale Batteria di Piale ….”. La torre è rappresentata anche nello scorcio di costa che appare alle spalle di Vincenzo Ruffo Duca di Bagnara nel quadro della Madonna di Portosalvo, conservato nella Chiesa parrocchiale di Cannitello e risalente alla fine del XVIII sec. Nel 1810, durante i mesi del Campo Reale di Piale, il re Gioacchino Murat vi aggiunse un fortino gemello di quello di Torre Cavallo. Torre e fortino furono poi definitivamente distrutti, come attesta il già citato Nostro, nel 1888, per la costruzione della Fortezza “Beleno”. E’ probabile che la presenza della costruzione e dei guardiani “torrieri” e la sicurezza che la popolazione ne ricavava inducesse molti a fermarsi in quella zona che, posta al centro delle vie che collegavano Campo Calabro alla marina di Cannitello, favoriva la coltivazione dei fertili terreni degli altopiani di Pirgo e di Tintorello e l’estrazione della calce in quelle stesse terre. Considerando lo sviluppo demografico del XVII sec. e la presenza a Piale di ca. 200 abitanti riportati nel catasto onciario carolino del 1756, la nascita del borgo si può fare risalire a cavallo tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600.

Inoltre la zona era ed è ricca d’acqua tanto da indurre nell’anno 1741 le autorità del tempo a costruire una pubblica fonte che servisse tutto il territorio circostante. Ci si riferisce alla Fontana Vecchia che, sormontata da un maestoso fregio marmoreo riproducente l’arme dei Ruffo duchi di Bagnara, signori della Terra di Fiumara, alla quale Piale apparteneva, riporta inscritto nel cartiglio sottostante l’anno e i sindaci che la costruirono: “Fontana del Pedale si fece da Giacinto Galimi e Giuseppe Morgante sindaci. 1741”. Essa era la più antica fonte pubblica della zona poiché com’è noto la Fontana del vicino Campo Calabro è del 2 Maggio 1775 e quella del rione S. Giovanni della vicina Fossa fu costruita dalla Famiglia Caracciolo nel 1793. Sorgeva nei pressi del bottesco in mattoni che, con un sistema di filtraggio e decantazione in vasche di pietra tutt’ora esistente, raccoglieva le acque del Campanella e le convogliava alla fonte, la quale era posta al centro della vallata che separava i due nuclei abitati oggi detti dell’Acquavecchia, lato Piale, e del Casale, lato Campo Calabro, sul limitare del letto del torrente. Questa fonte fu poi spostata più da presso all’abitato di Piale, con tutto il corredo di fregio e mascherone, nel 1896 ad opera del sindaco di Cannitello Giuseppe Marcianò, come recita un’altra lapide marmorea posta nel nuovo sito proprio sotto l’antico stemma dei Ruffo, e lì è rimasta, proprio sotto la Piazza della Chiesa, sul limitare dell’antico borgo, ove ancora si trova da poco ristrutturata e resa accessibile da un progetto di riqualificazione realizzato nel 2009. La facilità di approvvigionamento idrico è sicuramente una delle concause della nascita e del successivo sviluppo dell’abitato di Piale sui tre costoni dell’Acquavecchia, dello Spuntone e del Casale, attorno a nuclei familiari che tutt’ora abitano nel borgo.

Come detto, a metà del XVIII sec. il borgo era cresciuto a tal punto da sentire il bisogno di erigere una chiesa, come succursale della Parrocchia della Maddalena di Campo, dalla quale dipendeva fin dal 1701 unitamente a tutto il territorio degli odierni comuni di Villa San Giovanni e Campo Calabro. Notizie dell’esistenza a Piale di una chiesa intitolata a Gesù e Maria si hanno a partire dal 1756 e precisamente dal Catasto onciario carolino della Terra di Fiumara. Costruita probabilmente dalle famiglie del villaggio nello stesso luogo ove si trova l’attuale Chiesa Parrocchiale, era una costruzione semplice e non molto grande, dotata di una cripta per la sepoltura dei morti, con la facciata rivolta a mezzogiorno, sul limitare del costone di Spuntone, dal cui abitato distava un centinaio di metri. Questa pieve ed i suoi fedeli seguirono le vicende religiose del territorio, in particolare quelle legate all’erezione a parrocchia della Chiesa di Portosalvo, da poco costruita alla marina di Cannitello. Le citiamo in queste pagine perché è a seguito di esse che Piale si formò come unità urbanistico-storico-amministrativa quale lo conosciamo oggi.

Anno fondamentale il 1761! Per ottenere che la propria Chiesa fosse elevata a Parrocchia, i cannitellesi dovettero intentare una causa al parroco di Campo, Domenico Musco, che resisteva all’idea di perdere una grande fetta di territorio parrocchiale con i relativi cospicui censi. Curioso segnalare che tra i motivi di opportunità i legali dei cannitellesi contestavano le cospicue spese sostenute dal Musco anche per approvvigionarsi d’acqua alla Fontana di Piale. Al termine del contenzioso, stabilito che S. Maria di Portosalvo doveva essere distaccata da Campo e formare una nuova parrocchia, occorreva delimitare i confini tra le due entità e per evitare altre liti si nominò quale perito il Canonico Morisani, il quale percorrendo il “Vallone del Piale” abbozzò quella già citata mappa, indicando proprio nel Torrente Campanella il confine tra le due Parrocchie. Fu così che Piale perse il “suo” Casale che divenne subito Piale di Campo, poi corrotto in Campo Piale dalla vulgata comune, e diventò Piale di Cannitello, come ancor oggi spesso si scrive sugli indirizzi postali, quale entità urbana formata, sul solo lato destro del Campanella, dai costoni dell’Acquavecchia e dello Spuntone. Naturalmente la chiesetta di Gesù e Maria passò alle dipendenze della Parrocchia di Portosalvo di Cannitello dalla quale doveva essere probabilmente mal gestita se l’Arcivescovo di Reggio, Mons. Capobianco, visitandola nel 1768, dovette istituire un ruolo di censi a mantenimento di un economo curato che si apprestò a nominare in quell’occasione. La piccola pieve dovette subire dei danni ingenti a seguito del terremoto del 5 febbraio 1783 tanto da comparire più volte in vari elenchi che l’amministrazione del Principe di Fuscaldo aveva predisposto per la ricostruzione con i mezzi della Cassa Sacra. Non si è ancora indagato circa l’esito che ebbe questo evento sulla Chiesa suffragenea di Piale, si sa solo che ancora nel 1796 essa era riportata quale costruzione danneggiata dal sisma e abbisognevole di essere ricostruita. Intanto però la lontananza da Cannitello e la condizione delle strade non consentiva una efficace ed adeguata somministrazione dei sacramenti da parte del curato per cui i pialesi, con petizione rogata dal notaio Greco di Fiumara in data 28 Giugno 1793, scrivevano al Re di Napoli Ferdinando IV, chiedendo che la loro chiesa fosse elevata a Parrocchia. Dopo varie suppliche e terminati i tumultuosi anni del decennio francese di cui appresso si dirà, con decreto dell’Arcivescovo di Reggio Mons. Alessandro Tommasini, il 19 Febbraio del 1820 la Chiesa di Gesù e Maria di Piale fu elevata a Parrocchia della S. Croce ed il pialese Giovanni Bevacqua fu nominato primo parroco del paesino. Da allora ebbe inizio una storia che, attraverso i secoli, è giunta fino a noi consegnandoci un solido e fecondo legame tra i pialesi e la loro chiesa, fatto di fede e tradizioni profonde, soprattutto verso i Patroni, quei Gesù e Maria ai quali la prima pieve fu dedicata. Un racconto che rischiò di interrompersi all’alba del 28 dicembre 1908, tra le macerie del terribile sisma che spezzò le vite di molti pialesi e distrusse la chiesetta settecentesca con l’antica statua processionale dei Patroni. Furono salvate solo alcune suppellettili e la magnifica vara processionale intarsiata, della prima metà del XIX sec., che ancor oggi si utilizza nelle feste d’Agosto e la pala d’altare raffigurante Gesù e Maria. Dopo ventiquattro anni di baraccamenti, nel 1932 e nello stesso luogo ove sorgeva la precedente, si inaugurò la nuova chiesa parrocchiale. Costruita su progetto dell’arch. Ettore Baldanza in stile romanico, essa presenta un imponente portale, alla cui sommità si legge la scritta FULGET CRUCIS MISTERIUM, sormontato da un rosone. L’interno, a navata unica e sormontato da un soffitto ligneo a lacunari decorati, presenta sul lato sinistro l’altare marmoreo dedicato alla Madonna del Carmine e lo stipo in legno contenente il nuovo gruppo statuario del 1930 che i pialesi menano in processione ogni anno, e sul lato destro un pregevole pulpito in pietra arricchito dai bassorilievi degli evangelisti e sorretto da una colonna a cui si attorciglia il serpente dell’Eden. La navata finisce nell’abside nel quale, un imponente altare di foggia barocca è sormontato dalla grande pala del 1902 sorretta da angeli trionfanti in gesso e cartone romano. La volta dell’abside riproduce un particolare dell’affresco di Giulio Romano nelle Stanze di Raffaello raffigurante l’apparizione della croce a Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio.

A ridosso della chiesetta, nel corso dell’800 si sviluppò un’altra parte di borgo, come testimoniano gli stessi nomi delle vie risalenti allo stesso periodo storico: Campidoglio (presa di Roma 1870), Rossini (morto nel 1868). Più antica invece la Via Calvario, detta ancora “calata dϊ peddhari”, per la presenza un tempo di conciatori di pelli. Lungo la stessa ripidissima via, fino agli inizi del ‘900, esisteva anche una piccola fabbrica del sapone di proprietà della famiglia Calandruccio, così come una piccola filanda, di proprietà di una delle famiglie Sofi, operò per diversi anni nell’abitato a destra della chiesa parrocchiale.

Dal 1808 Piale era stato aggregato amministrativamente al Comune di Cannitello e nell’anno 1810, l’anno più importante della sua storia, proprio il pialese Antonino Sciarrone, sindaco di quel Comune, si trovò a fronteggiare le necessità di una corte reale e di un esercito di 13.000 uomini. Infatti, dopo averlo fatto approntare nei mesi precedenti, il 5 luglio il Re di Napoli Gioacchino Murat raggiunse il Campo Reale di Piale, come poi venne chiamato in tutte le cronache del tempo e successivamente nei libri di storia. Tutto il Governo e lo Stato Maggiore dell’Esercito napoletano lo seguiva per il compimento di un’impresa che attirò su Piale, questo piccolo borgo in posizione strategica sullo Stretto di Messina, l’attenzione dell’intera Europa: la conquista della Sicilia. Napoleone Bonaparte, imperatore dei Francesi e cognato del Re di Napoli, aveva chiesto a Murat un’azione diversiva che impegnasse la flotta inglese nel mediterraneo al fine di distoglierla dai preparativi per l’invasione che Egli stava facendo sulle coste francesi della Manica. L’esercito napoletano doveva forzare lo Stretto ed occupare la Sicilia togliendola ai Borboni che vi si erano rifugiati, dopo la conquista francese di Napoli nel 1806, sotto la protezione dei legni inglesi. Murat si gettò a capofitto nell’impresa e dalla grande tenda reale di Piale, posta sul pianoro che ancor oggi e per quell’accaduto si chiama “l’Accampamento”, diresse le operazioni militari ed al contempo governò il Regno. In quei mesi furono emanati dal “Campo Reale di Piale” 44 decreti reali, sui più disparati argomenti amministrativi, il più importante dei quali, del …. Agosto 1810, istituiva per la prima volta le scuole pubbliche nel Regno di Napoli. Scrisse da Piale 14 lettere al cognato Imperatore e, per dare lustro all’avvenimento e celebrarne la gloria, per nostra fortuna, si portò dietro il pittore di corte Armand Hiacinthe Dunouy che ritrasse il Re col suo seguito presso la grande tenda reale e l’intero accampamento, con lo sfondo dello Stretto, nel quadro che porta il titolo “Veduta del Campo di Piale” e che è conservato a Napoli presso la quadreria della Provincia. Murat, dal Campo Reale di Piale, comandò la costruzione di tre forti, che contenessero gli eventuali contrattachi anglo-borbonici. Due di queste “batterie” furono addossate alle torri cinquecentesche del Piraino, a Piale, e del Cavallo, sul promontorio di Caporafi, mentre il terzo forte fu costruito alla marina di Pezzo. Distrutto quello di Piale nel 1888, come già detto in precedenza, oggi rimangono in piedi il fortino di Pezzo, su cui è stato sovrapposto il faro e quello di Torre Cavallo, detto anche “Forte Gioacchino”, abbandonato all’incuria degli agenti atmosferici. Nonostante le raccomandazioni di Bonaparte, Murat tentò nella notte tra il 24 ed il 25 Settembre uno sbarco sulle coste a nord ed a sud di Messina, fallito per il pronto intervento degli inglesi. Constata l’impossibilità dell’impresa, il Re lasciò Piale il 26 Settembre e fece ritorno a Napoli.

Come è comprensibile la presenza a Piale dell’esercito e del Governo, con le necessità di approvvigionamenti giornalieri per uomini ed animali, comportò un peso non indifferente per la popolazione del tempo, costretta a volte a requisizioni o acquartieramenti forzati. Lo stesso sindaco Sciarrone, dopo la partenza dei francesi, chiese il rimborso al Comune di Cannitello di quanto era stato costretto ad anticipare di tasca propria per esaudire le pressanti richieste degli ufficiali.

Gli avvenimenti dell’estate del 1810, vengono naturalmente ritenuti da noi posteri come i più rilevanti nella storia del Borgo di Piale, poiché lo proiettarono all’attenzione del mondo. Si trova traccia di essi sui giornali di diverse nazioni, in cronache militari, politiche e letterarie, in diverse biografie di illustri personaggi che furono a Piale protagonisti di quegli eventi e naturalmente in molti saggi sul decennio francese e su Gioacchino Murat. Inoltre il dipinto di Dunouy, seppur di scarso valore pittorico, è una istantanea che fissa luoghi e cose che ancora esistono e li rende importanti agli occhi di chi oggi ancora calpesta quelle strade, nomina quei posti e non si sente più soltanto una insignificante goccia nell’oceano della Storia, ma un tratto di un cammino non ancora concluso.

A cura di Mariano Giuseppe Sofi

…continua

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